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lunedì 12 maggio 2008

Fotografi nel web #26: Zefram



Zefram: chi è?
Zefram vive due vite parallele: in una (quella cosiddetta "reale") è un fisico, ex professore universitario a contratto, esperto di tecnologie avanzate nel campo delle telecomunicazioni e dei sistemi militari e collabora con diversi progetti scientifici della Commissione Europea.
Nell’altra vita, Zefram non è né un fotografo di professione, né lo è per passione; più che altro è un fotografo per "necessità", nel senso che avverte un imperativo categorico interiore che lo spinge a rappresentare attraverso immagini simboliche un insieme di sensazioni e di stati d’animo intimi e personali.

Quando hai iniziato a fotografare?
Inizio a fotografare a 17 Anni; mi formo negli anni 80' sui paradigmi espressivi di autori come Leslie Kirims e Cheyco Liedmann, vincendo numerosi premi e concorsi un po’ qui ed un po’ là. Una profonda crisi espressiva mi porta gettare via tutte le immagini prodotte (una caterva) ed a rifiutare qualsiasi contatto con il mondo della fotografia (mostre, concorsi, circoli, etc.) per quasi dieci anni.
La motivazione di fondo di questo "black-out" è legata all’acquisizione della consapevolezza di un fatto tanto semplice quanto terribilmente distruttivo: mi accorsi che mi ero ridotto a fare solo foto "belle"; vale a dire che mi sentivo schiacciato dal meccanismo della ricerca del consenso e che quindi realizzavo un genere di foto che potessero incontrare una facile ed immediata approvazione. Foto "da concorso", insomma. Forse "belle", ma dove erano le "mie" immagini? Quello non ero io: era solo la rappresentazione di un cliché intercambiabile fra mille altri fotoamatori. Tutti bravissimi, ma tutti incanalati nella rappresentazione di una estetica codificata ed approvata. Dovevo staccare tutto e ritrovare una "mia" fotografia: forse brutta e poco ortodossa, ma una fotografia in cui finalmente si rifletteva un mio mondo personale.
Quindi, durante questi dieci e passa anni, continuai ad elaborare e ricercare dei paradigmi espressivi maggiormente in sintonia con le mie visioni interiori, eliminando la ricerca dell'immagine "bella", che ottenga il facile consenso sul lato meramente estetico. Solo da Aprile 2007 ho iniziato a riprendere qualche piccolo contatto con l'ambiente fotografico.


Quale genere ti piace maggiormente fotografare?
La "categorizzazione" è talvolta una specie di "scarpa stretta". E’ certamente utile per inquadrare per grandi linee un autore, per dare una "sgrossata", ma alla fine dei conti può risultare fuorviante. E’ certo che molti autori si trovano in un certo imbarazzo quando, pubblicando una foto sul Web, avvertono chiaramente che nessuna "categoria" riesce a rappresentare veramente il senso della loro immagine. Talvolta, beninteso, non sempre. Io francamente ho sempre molta difficoltà: forse la categoria che meno si allontana da ciò che tento di rappresentare è la cosiddetta "fotografia concettuale".


Hai fatto qualche corso di fotografia?
Un corso serve sostanzialmente per acquisire la tecnica, mentre la poetica e la creatività sono il prodotto finale di una personale via espressiva dell’autore. Nessun corso di scrittura potrà mai sfornare una Marguerite Yourcenar, ma potrà dare ad una "potenziale" Yourcenar gli strumenti "tecnici" necessari, ma giammai sufficienti, per permetterle di veicolare nel modo migliore il suo potenziale creativo. La creatività e la poetica non potranno emergere senza la base tecnica, ma se l’autore dovesse essere dotato solo di quest’ultima, potrà solo produrre squisiti esercizi tecnici e null’altro.
A questo proposito mi viene in mente il famoso passo di Marco 2,23-28, che qui sintetizzo. I farisei gli dissero: "Vedi, perché essi fanno di sabato quel che non è permesso?" [...] Ma egli rispose loro: "Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato! [...]".

Parafrasando si può dire che "La tecnica è stata fatta per il fotografo e non il fotografo per la tecnica!" .
Che la "tecnica" sia fondamentale è un fatto. Un altro fatto è che la tecnica è solo un mezzo e non un fine: essa è solo un bagaglio strumenti asserviti alla sua creatività. In fotografia (ma non solo) la tecnica andrebbe appresa ed interiorizzata a tal punto da divenire un automatismo; quindi non essere più una "guida" nella costruzione dell’immagine, ma un "modus operandi" che si può e si deve violare con la consapevolezza e la volontà di farlo. La "tecnica" va appresa tanto bene da poter passare in secondo piano, permettendo allo scultore di concentrare il suo sguardo mentale sulla forma e non sullo scalpello.

Dimenticavo la domanda... No, non ho mai frequentato un corso, ma ho letto, leggo e studio tanto: manuali, libri, tutorial e compagnia cantante. E non si deve smettere mai.

Quali sono i fotografi del passato e del presente che più apprezzi?
Fra gli autori "noti", amo alla follia dei geni totali come Storm Thorgerson, Leslie Krims, Jean-Paul Bourdier, Robert e Shana ParkeHarrison, David LaChapelle, Gregory Crewdson, Cheyco Leidmann. Poi esistono altri autori poco conosciuti, fra i quali apprezzo molto Berenika, Akif Hakan Celebi, Mr. Toledano, e tanti, tantissimi altri, visto che sul web "girano" autori stratosferici, che pochi conoscono e che difficilmente hanno accesso a riviste patinate e/o a spazi espositivi.
Di "quelli del passato" mi emoziona ancora molto Man Ray e pochi altri, ma non sono mai riuscito a provare un genuino e persistente trasporto per la maggior parte dei cosiddetti "mostri sacri", dalla Abbot ad Atget, da Cartier-Bresson a Mapplethorpe, da Fontana a Jodice.

Che attrezzatura fotografica hai usato nel passato, e quale stai attualmente utilizzando?
Iniziai con una Miranda RE-II, poi sono passato alla Olympus OM2 (che ho tutt’ora come macchina analogica) e da circa un anno e mezzo uso una Canon 350D. Conto di passare alla 450D, ma aspetto prima che crolli il prezzo e si diffonda nell’usato. Come obiettivo uso solo un supergrandangolo e basta (sulla Canon il Sigma 10-20 mm): è l’unica ottica che rispecchia la mia visione delle immagini. Poi ci sono le solite cose, filtri, illuminatori, cavalletti, e tutto il più o meno solito bestiario di accessori.

Davanti alle tue immagini è quasi impossibile non andare col pensiero ai dipinti di De Chirico; surrealiste e geniali. Quanta preparazione e quanta post-produzione c'è dietro ad ogni scatto?
Uno dei punti essenziali che distingue la fotografia dalle altre forme di arti figurative è la necessità di dover operare con la realtà. Mentre pittura e scultura utilizzano strumenti materiali per rappresentare una realtà fittizia, la fotografia deve necessariamente partire da una realtà tangibile specifica, che può anche essere modificata radicalmente nella sua rappresentazione finale. D’altro canto, la comunicazione operata attraverso una rappresentazione figurativa è un processo simbolico, che parte dalla codifica di un elemento comunicativo da parte dell’autore, per finire alla decodifica da parte di chi "legge" l’opera.
Sotto questo punto di vista, ritengo che la fotografia si presti più delle altre forme di comunicazione figurativa alla rappresentazione simbolica di stati onirici, emotivi ed irreali. Ad esempio, contrariamente al disegno o alla pittura, in cui il tratto grafico può rappresentare qualsiasi fantasia, la fotografia - concettualmente associata alla rappresentazione del "vero" - trasporta l’irreale verso un più profondo e concreto livello di percezione, dando corpo tangibile e concreto al surreale ed all’onirico: rende l’impossibile "vero".
Per realizzare ciò, io opero nel modo più "reale" possibile: tipicamente pianifico l’immagine a tavolino, preparando bozzetti e scegliendo le "location" più adatte. Poi devo acquistare i materiali necessari (specchi, palloni, bombole di elio, veli, etc.) ed organizzare la logistica (reclutare "aiutanti", il trasporto, etc.). Nelle mie immagini tutto è "reale", posto lì dove lo si vede e come lo si vede. Una sfera sospesa nel vuoto o è lanciata e "congelata" dal tempo di scatto o è sospesa ad un filo sottilissimo (invisibile) di nylon. L’uso del digitale e della post-produzione mi vengono in aiuto solo per abbattere i costi realizzativi dell’immagine, sia come materiali che come logistica: ad esempio, se per una immagine mi dovessero servire otto modelli ed otto vestiti, dovrei affrontare un costo di 400 euro: un budget che non mi posso permettere per realizzare uno scatto. Con il digitale ed una post-produzione posso usare un solo modello ed un solo vestito (50 euro), componendo successivamente gli scatti. Ma, è importante sottolineare, che la stessa identica immagine sarebbe stata realizzata con un singolo scatto analogico, se fosse stato possibile disporre di un budget adeguato. Poi le altre elaborazioni che normalmente uso sono le "classiche" regolazioni che prima si ottenevano con sapienza chimica e tecnica in camera oscura (contrasto, saturazione, mascherature, distorsioni, etc.) e che ora si ottengono in modo più semplice in "camera chiara".
A questo proposito, mi è capitato sovente di affrontare discussioni con "puristi" dell’analogico e con "integralisti" della camera oscura che sembrano avere come comune denominatore il disprezzo delle tecniche digitali. A sentir alcuni di loro (non tutti) sembrerebbe che un’immagine acquisti tanto più valore di "fotografia vera" quanta più competenza tecnica, fotografica e chimica, sia stata messa in gioco in fase di ripresa e sviluppo/stampa. Personalmente io guardo solo il risultato finale e poco o punto mi interessa il percorso ad ostacoli necessario per la realizzazione. Una foto scontata e banale che ha richiesto un anno di camera oscura ed una laurea in chimica resterà per me un bell’esercizio tecnico e basta. Mi chiedo a questo proposito se stampare una foto a testa in giù e con le mani legate dietro la schiena non renda il risultato finale strepitoso in ogni caso, vista l’enorme difficoltà realizzativa.

Qual è lo scatto al quale sei particolarmente legato?
Mi sottrarrei alla domanda: non c’è nessuno scatto mio o di altri autori che abbia per me una valenza particolare.

Quali sono i tuoi progetti attuali e quali quelli per il futuro?
Sto seguendo tre progetti, che ho iniziato da più di un anno e che mi terranno sicuramente occupato nel prossimo futuro:
- "Echoes", in cui rappresento gli stati emotivi associati al brano "Echoes" dei Pink Floyd. E’ di gran lunga il mio progetto più impegnativo e che difficilmente terminerà nel breve periodo. Su questo progetto ho anche iniziato la preparazione di un audiovisivo.
- "Hilbert space", in cui rappresento visivamente alcuni concetti relativi agli spazi di Hilbert, che sono particolari spazi matematici ad infinite dimensioni.
- "Psychedelic home", in cui riporto gli stati irreali ed allucinatori che si trovano a casa mia, ma che, a ben vedere, si possono trovare in qualsiasi altra casa, basta prestare attenzione alle allucinazioni che ci passano davanti in casa ed a cui normalmente non facciamo caso.


Hai mai esposto le tue immagini in mostre fotografiche personali o collettive?
Come detto, a causa del mio lungo periodo di profondissima crisi, ho gettato via tutto ciò che ho realizzato prima del 1995. Tutto ciò che è avvenuto prima non mi appartiene più: è di un’altra persona che non sono più io. Ho ricominciato ad esprimermi attraverso la fotografia solo verso la fine del 2006. Da allora ho esposto:

Personali
Verona: Caffè Orobianco, "Echoes", Febbraio-Aprile 2008

Chieti: "Echoes", Relè bistrot, Gennaio 2008
Barletta: "Qualcosa di Rosso" , Centro Culturale Zerouno, Maggio 2007
Roma: "Della Follia", Centro Duncan 3.0, Giugno 2007

Collettive
Milano: "Green shades", Museo di Milano, Maggio 2008
Roma: Technè, libera esposizione delle arti, Ex-Lavanderia S.Maria della Pietà, Aprile 2007
Barletta: "Risorse contemporanee", Centro Culturale Zerouno, Ottobre 2006

Già programmate
Campobasso, Giugno 2008.
Arcevia (AN), "Artcevia International Art Festival", Ottobre 2008

Hai mai avuto riconoscimenti in concorsi fotografici o pubblicazioni delle tue foto su libri o riviste?
Come detto, prima del 1995 c’era un'altra persona al mio posto. Costui vinse una carrettata di concorsi fotografici, tant’è che riempì la stanza di coppe, medaglie, targhe di tutti i tipi e molte altre amenità del genere. Tutto buttato via.
Prima del "Black out", nel 1982 mi pubblicarono un portfolio sulla rivista "Uè", di tiratura locale in quel di Napoli.
L’anno scorso la rivista del settore FotoCult mi ha dedicato due pagine (nove foto ed intervista) nel numero Luglio/Agosto 2007. Se poi non dovessero sorgere ostacoli, è previsto per il mese di Giugno 2008 un portfolio sulla rivista del settore "Fotocomputer".


Quanto tempo dedichi alla fotografia?
Una media di 2 ore al giorno, fra contatti umani e lavoro al PC. Poi quando "esco" per realizzare una foto, in genere durante i weekend (non ci siamo ancora liberati da quella nuova forma di schiavitù che è il lavoro), metto in conto dalle quattro alle sei ore. Siamo solo fotoamatori ed il bilanciamento fra tempo necessario al lavoro, alla famiglia ed alla fotografia è sempre il risultato di una serie di compromessi fra ciò che sarebbe desiderabile e ciò che è possibile. E, come si sa, il compromesso è l’arte di voler accontentare tutti, con il risultato di non soddisfare nessuno.

Raccontaci un episodio curioso o simpatico durante una sessione fotografica.
Beh, ce ne sono diversi. Tipicamente ciò che accade è che qualcuno si fermi ad osservare tutto l’armeggiare che dispiego durante la preparazione e poi alla fine sistematicamente chieda sempre la stessa identica domanda: "Scusate, ma a che serve questa foto?".
Un episodio "simpatico" è accaduto pochi giorni fa nella metropolitana di Milano. E’ risaputo che è vietato fotografare in Metropolitana, nelle stazioni ferroviarie ed in tanti altri posti. Al pari di molti altri fotoamatori, ho collezionato un nutrito numero di "espulsioni" da siffatti luoghi. Tipicamente viene un guardiano e, con aria truce e severa, blocca tutto e ti manda via, come se si stesse compiendo un crimine epocale. A questo punto si deve recitare la solita commedia: "Scusatemi, non lo sapevo", "Avete perfettamente ragione", "Non vi voglio mettere in difficoltà, vado via subito" e così via, secondo un copione tacitamente concordato.
Orbene, stavo realizzando una ripresa abbastanza lunga e complessa, con tanto di cavalletto ed "assistente" nella stazione centrale della Metro di Milano. Ad un certo punto vedo avvicinarsi un impiegato della Metro, con la solita aria truce ed iniziai a mettermi l’anima in pace. "Fine della foto", mi dissi. Poi il signore viene vicino a me, esita un po’ … guardava me e poi il "setup". Si ferma e stette un po’ lì da osservare. Poi mi chiese: "Se non vi disturbo, posso rimanere a guardare un po’ ?". Non credevo alle mie orecchie. "Figuratevi !". Restò tutto il tempo a guardare, aiutandomi anche negli scatti "Aspettate un attimo, sta passando qualcuno", "Ecco, ora potete scattare". Poi, finiti gli scatti mi fece i complimenti per il "lavoro" fatto. "Siete un fotoamatore ?", chiesi io. "No" fu la sua risposta. Incredibile.

Quando rivedi i tuoi vecchi scatti cosa pensi?
Li rivedo raramente, in genere passo avanti verso un’altra foto ed un’altra idea. La cosa che comunque penso più di frequente è se potrò avere altre idee soddisfacenti nel futuro o se il mio "dialogo" fotografico sia giunto al termine, come tutte le cose umane. Poi arriva un’altra immagine ed il limite oltre il quale si avverte che non si ha più nulla da dire si sposta più in avanti. Per ora non vedo l’orizzonte di una fine, ma temo la ripetitività nell’espressione fotografica.

Dove sono pubblicate, sul web, le tue foto?
www.oltrelafoto.com

Un pensiero a chi si avvicina ora al mondo della fotografia.
Cose da fare, in ordine di importanza:
- primo: non smettere mai di studiare la tecnica, ma non farla divenire il fulcro delle immagini;
- secondo: guardare tanto ed imparare a leggere le immagini di altri autori, interiorizzare il loro linguaggio e sforzarsi nel tentativo di sviluppare una propria via espressiva;
- terzo: dotarsi di un’attrezzatura commisurata alle proprie esigenze, né sovradimensionata, né striminzita (una foto "discreta" non diventa "eccellente" quando si consideri che è stata fatta con una compattina: resta "discreta" e basta);
- quarto: fotografare e sbagliare tanto, fare errori e strafalcioni di tutti i tipi;
- quinto: proporsi alla lettura altrui in forum e siti fotografici e poi a gallerie e spazi espositivi; la foto è dialogo e comunicazione: tenerle chiuse nel cassetto non ha il minimo senso;
- sesto: mettere nella borsa dell’attrezzatura un mezzo chilo di umiltà.

Cose da non fare:
- credere di essere "bravi" solo perché il proprio "ego" viene soddisfatto dai commenti positivi che si ricevano nei siti e nei forum;
- credere che la tecnica prevalga sull’emotività e sulla poetica del linguaggio fotografico. A volte una foto emotivamente forte, ma tecnicamente sbagliata può valere infinitamente più delle "belle senz’anima": foto tecnicamente e compositivamente mozzafiato, ma emotivamente sterili come potrebbero esserlo gli ingranaggi di un carrarmato Tiger II.









Fotografie: © Zefram

Per concludere, a chi vuoi dedicare un saluto o un ringraziamento?
A mia madre, alla sua intelligenza, pazienza e soprattutto alla sua capacità di amare incondizionatamente.

5 commenti:

  1. Avevo scritto il commento ma si è perso in qualche reload :(
    Mi limito a dire ... semplicemente geniale!
    Le sue foto alla Dalí mi provocano attacchi misti di invidia e ammirazione.
    Marta

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  2. ma dove l'hai trovato un fantasista genialaccio così ?!
    le foto sono fin troppo strane ed interessanti per un'ignorante come me ma, forse, sto esagerando !
    saluti
    skipper

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  3. Personaggio molto creativo! Le combinazioni di colori mi hanno affascinato! Il temine "fotografo" secondo me però è troppo "limitativo" ...
    Libero non finisci mai di stupirmi con le tue interviste!
    Lucia

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  4. Enrico è uno dei fotgrafi che maggiormente ammiro per la sua infinita creatività e capacità, associata al suo approccio al mondo della fotografia tipico delle persone geniali: mai isterico, mai ossessivo, con l'apparente semplicità dei grandi.
    E tale sua semplicità la si riscontra nell'uomo Enrico, che ho avuto la fortuna di conoscere.
    Giuseppe D'Angelo

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  5. Tu non sei geniale, sei più avanti ancora...Leggo e m'incanto! Bravo, anzi: di più!

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