Aldo Frezza: chi è?
Sono nato a Roma, dove vivo. Come quasi tutti, ho iniziato a fotografare per passione. Dopo, la cosa è diventata per me sempre più importante, unendosi alle altre grandi passioni della mia vita: la montagna e l’alpinismo. Ho iniziato così a fotografare le cose che facevo in montagna, proponendo alle riviste del settore articoli e foto riguardanti itinerari, ascensioni, ecc... Poi ho lavorato molti anni, come fotografo e addetto-stampa, con un team di medici, specializzati in ricerche medico-scientifiche in alta quota ed in ambienti estremi. Con loro ho partecipato a grandi viaggi sulle Alpi, in Africa (monti Kenya e Kilimanjaro, deserto del Sahara libico e marocchino) ed in Asia (Nepal, Sikkim). Insomma, è diventata così anche una professione (anche se non la mia sola professione, per vivere faccio anche dell’altro). Attualmente mi occupo di scrivere articoli su argomenti di montagna e, in generale, di attvità "outdoor" (alpinismo, escursionimso, trekking, sci, economia, scienza, arte e cultura di regioni montane, ecc...), accompagnati regolarmente dalle mie foto, per testate cartacee e web. Da quando è nata Ilaria, mia figlia, mi occupo di ricercare itinerari adatti ai bambini, e curo regolarmente una rubrica ad essi dedicata sulla "Rivista del Trekking".
Quando hai iniziato a fotografare?
Ero molto piccolo, mia madre prese, con i punti delle saponette, una macchina fotografica Eura Ferrania, oggetto oggi preistorico che ho ancora (non sono mai riuscito a separarmene). Era la prima macchina fotografica che avevo tra le mani, ma ne rimasi affascinato e da quel giorno divenni il "fotografo ufficiale" delle gite familiari e delle vacanze estive. Poi, per molti anni, più niente, finchè non cominciai a lavorare e a guadagnare i miei primi soldi. Una fotocamera fu allora, insieme allo stereo, il primo oggetto acquistato col mio stipendio. Si trattava, finalmente, di una vera reflex, una Canon FTB. E così, una volta ripreso il via, non ho più smesso.
Quale genere ti piace maggiormente fotografare?
Il tipo di foto che faccio per professione – la foto di montagna – è un genere molto particolare, che attraversa in maniera trasversale molti argomenti. C’è al suo interno un po’ di reportage sportivo o di foto d’azione, un po’ di reportage di viaggio, un po’ di paesaggio o di foto naturalistica, ecc... In questi casi, la sfida è cercare di mettere, anche nelle inquadrature più classiche, qualcosa del mio personale modo di vedere. Mi spiego meglio: molto spesso le foto di montagna sono fatte da alpinisiti bravissimi che, non essendo principalmente fotografi, tendono però a ripetere le stesse inquadrature (la parete, la cordata, i portatori, le strade di Kathmandu o di Skardu, ecc...). Io cerco di avere un occhio più "fotografico", e di trovare modi di raccontare più originali ed accattivanti. La situazione, comunque, è molto cambiata da questo punto di vista, e ora le montagne di tutto il mondo sono piene di ottimi fotografi, come dimostra la qualità delle immagini delle riviste del settore, decisamente migliorata negli ultimi anni. Quando riesco a fotografare solo per me, mi piacciono molto la "street photography", il reportage di viaggio ed i concerti. Coltivo poi, in segreto, un’insana passione: passo interi pomeriggi a fotografare muri, manifesti strappati, particolari di graffiti inquadrandoli in maniera tale da farli sembrare quadri astratti, composizioni di pure linee, forme e colori.
Hai fatto qualche corso di fotografia?
Sì, e sono stati molto importanti per me, grazie al valore degli insegnanti. Ho studiato still-life con Alberto Incrocci, che mi ha insegnato il suo grande senso di rigore nel controllo delle luci e della composizione, cosa che si è rivelata preziosissima anche al di là dello still-life, genere che non ho più praticato. Ho frequentato un workshop con Steve Mc Curry, dove ho approfondito il senso della sintesi e dell’impatto comunicativo dell’immagine. Dopo il mio passaggio al digitale (avvenuto molto tardi rispetto ad altri, un paio di anni fa), ho frequentato corsi di Post Produzione (settore in cui mi sentivo un po’ carente) con Marianna Santoni.
Quali sono i fotografi del passato e del presente che più apprezzi?
Tra i grandi del passato, ho sempre ammirato – pur nella loro completa diversità - Ernst Haas e Jeanloup Sieff. Apprezzo in entrambi la capacità rivoluzionaria di andare oltre, di sperimentare, di uscire dagli schemi che imponeva il loro genere di fotografia. Ernst Haas ha reinventaro la foto a colori utilizzando creativamente tutto quello che prima era considerato solo un "errore tecnico" (mosso, silohuette, dominati, ecc...), Sieff ha introdotto, nella moda, i grandangoli spinti, le inquadrature che non riprendevano solo vestiti, i ritratti non "agiografici", ecc... Anche se non pratico la foto di moda, il suo essere "visionario", il suo saper immaginare cose diverse mi affascinano ancora. In tempi recenti, c’è un personaggio che non solo apprezzo, ma che "avrei voluto essere": Galen Rowell. Grande alpinista, attivo negli anni ’60 in Yosemite Valley, divenne fotogiornalista e lavorò per riviste del calibro di National Geographic, esplorando le regioni più selvagge del mondo. Considero il suo libro "Galen Rowell’s vision, the art of adventure photography" il più bel manuale di fotografia mai scritto. Non vi si parla di tecnica, ma di ciò che succede nella testa e negli occhi di chi sta dietro il mirino, del suo approccio al soggetto, del suo modo di viaggiare, dell’influenza della tecnologia sull’immagine, della ricerca della propria personale visione, ecc... Anche senza conoscerlo, Rowell mi ha dato tanto, e la notizia della sua morte in un incidente aereo mi lasciò veramente scioccato. Ma ci sono altri fotografi di montagna altrettanto bravi, che apprezzo molto: l’austriaco Heinz Zak, forse il maggiore specialista europeo di foto di arrampicata estrema, o Davide Camisasca (guida alpina e fotografo di Gressoney). Infine, alcuni grandi del reportage stranieri ed italiani: McCurry, Salgado, Natchwey, Pistolesi, Zizola.
Che attrezzatura fotografica hai usato nel passato, e quale stai attualmente utilizzando?
Dopo la FTB, di cui ho detto, ho sempre posseduto apparecchi Canon. Nell’ordine, F1, F1 New, Eos 1n. Attualmente utilizzo, con piena soddisfazione, una 5D. Le ottiche sono: 15, 17-35, 24-70, 50, 85, 70-200.
Qual è lo scatto al quale sei particolarmente legato?
Questo: si tratta di piccoli monaci che assistono ad una cerimonia al monastero di Hemis, in Sikkim. Nonostante sembri un’inquadratura abbastanza banale, essa ha per me un fascino sottile, una magia che non appare subito, ma emerge sempre più prepotente alla distanza. Spesso, nella preparazione di mie mostre o proiezioni, faccio il gioco di affiancarla ad altre immagini, di grande impatto visivo, dai colori forti, dagli effetti speciali sempre più mirabolanti. Ebbene, è tutto inutile: essa, nella sua disarmante semplicità, ne esce sempre vincitrice.
Quali sono i tuoi progetti attuali e quelli per il futuro?
Scopro che negli ultimi anni la mia attività ed i miei interessi si vanno sempre più estendendo dalla montagna ai viaggi in generale, ma soprattutto alla "filosofia" del viaggiare come esperienza di vita e di arricchimento interiore. Mi interessa sempre più il cercare di guardare – fotograficamente, ma non solo - con occhi nuovi a cultura, religione, tradizioni popolari, sapori e prodotti tipici, condizioni sociali e di vita delle popolazioni, natura ed ecologia. Non solo, quindi, viaggi in luoghi dall’altra parte del mondo, ma anche a pochi metri dalla porta delle nostre case, a riscoprire tutta la "sorpresa", la "magia" e la "novità" che solo i bambini sanno cogliere, anche nelle cose per noi più banali ed abituali. Ecco, mi piacerebbe che il mio percorso fotografico andasse, per il futuro, in questa direzione.
Hai mai esposto le tue immagini in mostre fotografiche personali o collettive?
Una mia mostra, "Montagne: luoghi, volti, situazioni", è stata esposta in due occasioni in anni scorsi. Più di recente, ho esposto in due diverse gallerie romane "Viaggi dentro e fuori", dove accostavo, in modo apparentemente casuale (in realtà, seguendo logiche cromatiche o compositive), foto di viaggi o esplorazioni in paesi esotici (Asia, Africa, Himalaya) con foto di più "banale" quotidianità: muri scrostrati, finestre, tende, muri ricoperti di graffiti, ecc... L’effetto si è rivelato piuttosto "straniante", suscitato una certa curiosità tra chi l’ha visitata. Infine, una serie di mie immagini di Appennino è stata esposta, qualche anno fa, nell’ambito della Rassegna "Montagne in città", che si svolge – anzi si svolgeva, quest’anno non si sa – ogni anno a Roma.
Hai mai avuto riconoscimenti in concorsi fotografici o pubblicazione delle tue foto su libri e riviste?
Non ho mai vinto concorsi fotografici, ma le mie foto vengono publicate regolarmente sulle riviste per cui collaboro. Molte di quelle realizzate durante le spedizioni medico-scientifiche sono state utilizzate in pubblicazioni scientifiche o per brochures delle ditte che ci sponsorizzavano. Altre sono state utilizzate per illustrare libri, in particolare delle Edizioni Il Lupo, casa editrice abruzzese specializzata in guide escursionistiche. Nel 2007 ho curato, con altri autori, testi e foto della guida "Vivere i laghi del Lazio", edita dalla Regione. Nel 2008 è stato pubblicato, dalle Edizioni Il Lupo, "Bambini in Appennino", raccolta di tinerari per bambini tra i monti di Lazio, Abruzzo, Marche ed Umbria; i testi sono di Albero Osti Guerrazzi e del sottoscritto, la maggior parte delle foto mie. Nel 2003, "Planetmountain" ha pubblicato un articolo su di me, con un portfolio di mie immagini.
Sono nato a Roma, dove vivo. Come quasi tutti, ho iniziato a fotografare per passione. Dopo, la cosa è diventata per me sempre più importante, unendosi alle altre grandi passioni della mia vita: la montagna e l’alpinismo. Ho iniziato così a fotografare le cose che facevo in montagna, proponendo alle riviste del settore articoli e foto riguardanti itinerari, ascensioni, ecc... Poi ho lavorato molti anni, come fotografo e addetto-stampa, con un team di medici, specializzati in ricerche medico-scientifiche in alta quota ed in ambienti estremi. Con loro ho partecipato a grandi viaggi sulle Alpi, in Africa (monti Kenya e Kilimanjaro, deserto del Sahara libico e marocchino) ed in Asia (Nepal, Sikkim). Insomma, è diventata così anche una professione (anche se non la mia sola professione, per vivere faccio anche dell’altro). Attualmente mi occupo di scrivere articoli su argomenti di montagna e, in generale, di attvità "outdoor" (alpinismo, escursionimso, trekking, sci, economia, scienza, arte e cultura di regioni montane, ecc...), accompagnati regolarmente dalle mie foto, per testate cartacee e web. Da quando è nata Ilaria, mia figlia, mi occupo di ricercare itinerari adatti ai bambini, e curo regolarmente una rubrica ad essi dedicata sulla "Rivista del Trekking".
Quando hai iniziato a fotografare?
Ero molto piccolo, mia madre prese, con i punti delle saponette, una macchina fotografica Eura Ferrania, oggetto oggi preistorico che ho ancora (non sono mai riuscito a separarmene). Era la prima macchina fotografica che avevo tra le mani, ma ne rimasi affascinato e da quel giorno divenni il "fotografo ufficiale" delle gite familiari e delle vacanze estive. Poi, per molti anni, più niente, finchè non cominciai a lavorare e a guadagnare i miei primi soldi. Una fotocamera fu allora, insieme allo stereo, il primo oggetto acquistato col mio stipendio. Si trattava, finalmente, di una vera reflex, una Canon FTB. E così, una volta ripreso il via, non ho più smesso.
Quale genere ti piace maggiormente fotografare?
Il tipo di foto che faccio per professione – la foto di montagna – è un genere molto particolare, che attraversa in maniera trasversale molti argomenti. C’è al suo interno un po’ di reportage sportivo o di foto d’azione, un po’ di reportage di viaggio, un po’ di paesaggio o di foto naturalistica, ecc... In questi casi, la sfida è cercare di mettere, anche nelle inquadrature più classiche, qualcosa del mio personale modo di vedere. Mi spiego meglio: molto spesso le foto di montagna sono fatte da alpinisiti bravissimi che, non essendo principalmente fotografi, tendono però a ripetere le stesse inquadrature (la parete, la cordata, i portatori, le strade di Kathmandu o di Skardu, ecc...). Io cerco di avere un occhio più "fotografico", e di trovare modi di raccontare più originali ed accattivanti. La situazione, comunque, è molto cambiata da questo punto di vista, e ora le montagne di tutto il mondo sono piene di ottimi fotografi, come dimostra la qualità delle immagini delle riviste del settore, decisamente migliorata negli ultimi anni. Quando riesco a fotografare solo per me, mi piacciono molto la "street photography", il reportage di viaggio ed i concerti. Coltivo poi, in segreto, un’insana passione: passo interi pomeriggi a fotografare muri, manifesti strappati, particolari di graffiti inquadrandoli in maniera tale da farli sembrare quadri astratti, composizioni di pure linee, forme e colori.
Hai fatto qualche corso di fotografia?
Sì, e sono stati molto importanti per me, grazie al valore degli insegnanti. Ho studiato still-life con Alberto Incrocci, che mi ha insegnato il suo grande senso di rigore nel controllo delle luci e della composizione, cosa che si è rivelata preziosissima anche al di là dello still-life, genere che non ho più praticato. Ho frequentato un workshop con Steve Mc Curry, dove ho approfondito il senso della sintesi e dell’impatto comunicativo dell’immagine. Dopo il mio passaggio al digitale (avvenuto molto tardi rispetto ad altri, un paio di anni fa), ho frequentato corsi di Post Produzione (settore in cui mi sentivo un po’ carente) con Marianna Santoni.
Quali sono i fotografi del passato e del presente che più apprezzi?
Tra i grandi del passato, ho sempre ammirato – pur nella loro completa diversità - Ernst Haas e Jeanloup Sieff. Apprezzo in entrambi la capacità rivoluzionaria di andare oltre, di sperimentare, di uscire dagli schemi che imponeva il loro genere di fotografia. Ernst Haas ha reinventaro la foto a colori utilizzando creativamente tutto quello che prima era considerato solo un "errore tecnico" (mosso, silohuette, dominati, ecc...), Sieff ha introdotto, nella moda, i grandangoli spinti, le inquadrature che non riprendevano solo vestiti, i ritratti non "agiografici", ecc... Anche se non pratico la foto di moda, il suo essere "visionario", il suo saper immaginare cose diverse mi affascinano ancora. In tempi recenti, c’è un personaggio che non solo apprezzo, ma che "avrei voluto essere": Galen Rowell. Grande alpinista, attivo negli anni ’60 in Yosemite Valley, divenne fotogiornalista e lavorò per riviste del calibro di National Geographic, esplorando le regioni più selvagge del mondo. Considero il suo libro "Galen Rowell’s vision, the art of adventure photography" il più bel manuale di fotografia mai scritto. Non vi si parla di tecnica, ma di ciò che succede nella testa e negli occhi di chi sta dietro il mirino, del suo approccio al soggetto, del suo modo di viaggiare, dell’influenza della tecnologia sull’immagine, della ricerca della propria personale visione, ecc... Anche senza conoscerlo, Rowell mi ha dato tanto, e la notizia della sua morte in un incidente aereo mi lasciò veramente scioccato. Ma ci sono altri fotografi di montagna altrettanto bravi, che apprezzo molto: l’austriaco Heinz Zak, forse il maggiore specialista europeo di foto di arrampicata estrema, o Davide Camisasca (guida alpina e fotografo di Gressoney). Infine, alcuni grandi del reportage stranieri ed italiani: McCurry, Salgado, Natchwey, Pistolesi, Zizola.
Che attrezzatura fotografica hai usato nel passato, e quale stai attualmente utilizzando?
Dopo la FTB, di cui ho detto, ho sempre posseduto apparecchi Canon. Nell’ordine, F1, F1 New, Eos 1n. Attualmente utilizzo, con piena soddisfazione, una 5D. Le ottiche sono: 15, 17-35, 24-70, 50, 85, 70-200.
Qual è lo scatto al quale sei particolarmente legato?
Questo: si tratta di piccoli monaci che assistono ad una cerimonia al monastero di Hemis, in Sikkim. Nonostante sembri un’inquadratura abbastanza banale, essa ha per me un fascino sottile, una magia che non appare subito, ma emerge sempre più prepotente alla distanza. Spesso, nella preparazione di mie mostre o proiezioni, faccio il gioco di affiancarla ad altre immagini, di grande impatto visivo, dai colori forti, dagli effetti speciali sempre più mirabolanti. Ebbene, è tutto inutile: essa, nella sua disarmante semplicità, ne esce sempre vincitrice.
Quali sono i tuoi progetti attuali e quelli per il futuro?
Scopro che negli ultimi anni la mia attività ed i miei interessi si vanno sempre più estendendo dalla montagna ai viaggi in generale, ma soprattutto alla "filosofia" del viaggiare come esperienza di vita e di arricchimento interiore. Mi interessa sempre più il cercare di guardare – fotograficamente, ma non solo - con occhi nuovi a cultura, religione, tradizioni popolari, sapori e prodotti tipici, condizioni sociali e di vita delle popolazioni, natura ed ecologia. Non solo, quindi, viaggi in luoghi dall’altra parte del mondo, ma anche a pochi metri dalla porta delle nostre case, a riscoprire tutta la "sorpresa", la "magia" e la "novità" che solo i bambini sanno cogliere, anche nelle cose per noi più banali ed abituali. Ecco, mi piacerebbe che il mio percorso fotografico andasse, per il futuro, in questa direzione.
Hai mai esposto le tue immagini in mostre fotografiche personali o collettive?
Una mia mostra, "Montagne: luoghi, volti, situazioni", è stata esposta in due occasioni in anni scorsi. Più di recente, ho esposto in due diverse gallerie romane "Viaggi dentro e fuori", dove accostavo, in modo apparentemente casuale (in realtà, seguendo logiche cromatiche o compositive), foto di viaggi o esplorazioni in paesi esotici (Asia, Africa, Himalaya) con foto di più "banale" quotidianità: muri scrostrati, finestre, tende, muri ricoperti di graffiti, ecc... L’effetto si è rivelato piuttosto "straniante", suscitato una certa curiosità tra chi l’ha visitata. Infine, una serie di mie immagini di Appennino è stata esposta, qualche anno fa, nell’ambito della Rassegna "Montagne in città", che si svolge – anzi si svolgeva, quest’anno non si sa – ogni anno a Roma.
Hai mai avuto riconoscimenti in concorsi fotografici o pubblicazione delle tue foto su libri e riviste?
Non ho mai vinto concorsi fotografici, ma le mie foto vengono publicate regolarmente sulle riviste per cui collaboro. Molte di quelle realizzate durante le spedizioni medico-scientifiche sono state utilizzate in pubblicazioni scientifiche o per brochures delle ditte che ci sponsorizzavano. Altre sono state utilizzate per illustrare libri, in particolare delle Edizioni Il Lupo, casa editrice abruzzese specializzata in guide escursionistiche. Nel 2007 ho curato, con altri autori, testi e foto della guida "Vivere i laghi del Lazio", edita dalla Regione. Nel 2008 è stato pubblicato, dalle Edizioni Il Lupo, "Bambini in Appennino", raccolta di tinerari per bambini tra i monti di Lazio, Abruzzo, Marche ed Umbria; i testi sono di Albero Osti Guerrazzi e del sottoscritto, la maggior parte delle foto mie. Nel 2003, "Planetmountain" ha pubblicato un articolo su di me, con un portfolio di mie immagini.
Quanto tempo dedichi alla fotografia?
La fotografia non è solo quando sei dietro al mirino o davanti al monitor, c’è un’attività di pensiero, di immaginazione, di ideazione, di progetto. Mi capita molto spesso, anche mentre faccio le cose più normali, di pensare: come fotograferei questa scena? Oppure: devo fotografare questo, o quest’altro. Credo quindi di dedicare alla fotografia molte energie, anche solo di pensiero, e molta parte della mia vita, che è impossibile quantificare.
Raccontaci qualche episodio curioso o simpatico legato alla tua esperienza.
Ero in Marocco, durante una spedizione di medici dermatologi, che testavano creme solari. Ci fermiamo in mezzo al deserto, gli altri vanno in escursione ma io rimango, perché volevo fotografare un flacone di crema in mezzo alle dune, un’idea che avevo avuto. Ad un certo punto, in pieno deserto, appare un tuareg spuntato da non so dove. Dapprima cerca di verdermi alcuni fossili, poi si incuriosisce di quello che sto facendo, si siede e mi guarda lavorare. Intanto parliamo. Alla fine lo convinco a farsi fotografare, gli dò istruzioni e lui, buono buono, esegue: cammina di spalle lasciando molte impronte, si mette in posa, finge di guardare verso l’infinito, tutto secondo le mie istruzioni. Poi, all’improvviso, sparisce nello stesso nulla da cui era venuto. Le foto non sono più state utilizzate, ma l’incontro è stato così surreale che non lo dimenticherò mai. Poi, non posso dimenticare i sorrisi, i giochi e le risate piene di gioia dei bambini nepalesi e indiani incontrati durante i trekking. Arrivare nel villaggio accompagnati dalle loro grida e partecipare ai loro giochi ripaga di tutta la fatica fatta durante il cammino.
Quando rivedi i tuoi vecchi scatti cosa pensi?
Rivedere i vecchi scatti è spesso, per me, un’esperienza drammatica, nella quale mi chiedo come è stato possibile aver fatto quelle orribili foto che ora, invece, avrei gettato via senza pensarci su. Ma non è sempre così, per fortuna. A volte c’è una specie di ribaltamento di significato in cui, come se li rivedessi con altri occhi, rivaluto gli scatti che non mi piacevano, scoprendo in essi nuovi significati e nuovi elementi, che prima non ero stato capace – o non avevo l’esperienza per farlo – di cogliere.
Dove sono pubblicate, sul web, le tue foto?
Innanzitutto sul mio sito, www.aldofrezza.it, poi sul portfolio pubblicato da Planetmountain che ho citato. Infine, a volte, carico qualche mia foto su Facebook.
Un pensiero a chi si avvicina ora al mondo della fotografia.
Non vi stancate mai di esplorare tutte le possibilità, non solo dell’attrezzatura, ma soprattutto della vostra mente, dei vostri occhi e del vostro cuore.
Fotografie: © Aldo Frezza
La fotografia non è solo quando sei dietro al mirino o davanti al monitor, c’è un’attività di pensiero, di immaginazione, di ideazione, di progetto. Mi capita molto spesso, anche mentre faccio le cose più normali, di pensare: come fotograferei questa scena? Oppure: devo fotografare questo, o quest’altro. Credo quindi di dedicare alla fotografia molte energie, anche solo di pensiero, e molta parte della mia vita, che è impossibile quantificare.
Raccontaci qualche episodio curioso o simpatico legato alla tua esperienza.
Ero in Marocco, durante una spedizione di medici dermatologi, che testavano creme solari. Ci fermiamo in mezzo al deserto, gli altri vanno in escursione ma io rimango, perché volevo fotografare un flacone di crema in mezzo alle dune, un’idea che avevo avuto. Ad un certo punto, in pieno deserto, appare un tuareg spuntato da non so dove. Dapprima cerca di verdermi alcuni fossili, poi si incuriosisce di quello che sto facendo, si siede e mi guarda lavorare. Intanto parliamo. Alla fine lo convinco a farsi fotografare, gli dò istruzioni e lui, buono buono, esegue: cammina di spalle lasciando molte impronte, si mette in posa, finge di guardare verso l’infinito, tutto secondo le mie istruzioni. Poi, all’improvviso, sparisce nello stesso nulla da cui era venuto. Le foto non sono più state utilizzate, ma l’incontro è stato così surreale che non lo dimenticherò mai. Poi, non posso dimenticare i sorrisi, i giochi e le risate piene di gioia dei bambini nepalesi e indiani incontrati durante i trekking. Arrivare nel villaggio accompagnati dalle loro grida e partecipare ai loro giochi ripaga di tutta la fatica fatta durante il cammino.
Quando rivedi i tuoi vecchi scatti cosa pensi?
Rivedere i vecchi scatti è spesso, per me, un’esperienza drammatica, nella quale mi chiedo come è stato possibile aver fatto quelle orribili foto che ora, invece, avrei gettato via senza pensarci su. Ma non è sempre così, per fortuna. A volte c’è una specie di ribaltamento di significato in cui, come se li rivedessi con altri occhi, rivaluto gli scatti che non mi piacevano, scoprendo in essi nuovi significati e nuovi elementi, che prima non ero stato capace – o non avevo l’esperienza per farlo – di cogliere.
Dove sono pubblicate, sul web, le tue foto?
Innanzitutto sul mio sito, www.aldofrezza.it, poi sul portfolio pubblicato da Planetmountain che ho citato. Infine, a volte, carico qualche mia foto su Facebook.
Un pensiero a chi si avvicina ora al mondo della fotografia.
Non vi stancate mai di esplorare tutte le possibilità, non solo dell’attrezzatura, ma soprattutto della vostra mente, dei vostri occhi e del vostro cuore.
Fotografie: © Aldo Frezza
Vuoi concludere con un saluto o un ringraziamento?
Un primo ringraziamento lo devo alla mia famiglia, che ha sempre accettato con pazienza le mie partenze e le mie assenze. Un ringraziamento particolare a Ilaria, che spesso mi accompagna nelle escursioni e mi è stata di grande aiuto nello scrivere "Bambini in Appennino", inventando quasi tutte le favole del libro. Infine, a tutti quelli che ho incontrato durante i miei vagabondaggi, per avermi permesso di rubare i loro sguardi e i loro sorrisi.
Un primo ringraziamento lo devo alla mia famiglia, che ha sempre accettato con pazienza le mie partenze e le mie assenze. Un ringraziamento particolare a Ilaria, che spesso mi accompagna nelle escursioni e mi è stata di grande aiuto nello scrivere "Bambini in Appennino", inventando quasi tutte le favole del libro. Infine, a tutti quelli che ho incontrato durante i miei vagabondaggi, per avermi permesso di rubare i loro sguardi e i loro sorrisi.
Leggi l'intervista anche su: Fotografi nel Web
Nessun commento:
Posta un commento